(futurismo) Giovanni Gerbino, Telegrafo e telefono dell’anima. 1926.

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Giovanni Gerbino, Telegrafo e telefono dell’anima. Con norme e regolamento di Filippo Tommaso Marinetti. Milano, Morreale, 1926. In-8 (cm 19 x 13), brossura editoriale, pagine numerate 158. Edizione originale. In buono stato – lievi segni del tempo alla copertina e piccoli difetti marginali. Firma di proprietà alla prima pagina.

Bibliografia:

-Claudia Salaris, Bibliografia del Futurismo. Milano, 1988.

-Ezio Godoli, Il Dizionario del Futurismo. Firenze, 2001: “Girbino Giovanni in arte Giovanni Gerbino (Ficarra, Messina, 1895- Catania, 1969) Si diploma ragioniere a Torino e vinto il concorso di cancelliere lavora prima ad Ascoli Piceno e poi a Milano, dove si trasferisce nel 1924. Nel 1925 conosce Marinetti e Depero e viene inserito nell’antologia di poeti futuristi del 1925; aderisce al movimento filtrandolo in un primo momento attraverso certo lirismo tardo-crepuscolare, che gli è più consono. Nel 1926 pubblica a Milano Telefono e telegrafo dell’anima, una raccolta di versi divisa in due sezioni, in cui quella dedicata alle Telefonate, vivacissima nell’ispirazione, risente di più della lezione futurista e resta forse la sua cosa migliore, scaricandovisi, a livello soprattutto fonicoludico, attraverso l’uso delle voci (delle ore, delle stagioni, delle settimane, dei sentimenti, ecc.) tutta la vena ironica esercitata su una realtà osservata con acume, ma anche con un benevolo sorriso. Il telefono, come l’ascensore, il treno, la motocicletta, l’aereo, fa parte della serie dei nuovi topoi letterari ed artistici che la trasformazione industriale della città che sale racconta, topoi che si caricano continuamente di nuove significazioni psicologiche e di nuove possibilità tecnico-rappresentative. In G. l’evocazione della telefonata è ironica e sintetica ed è possibile leggervi attraverso la scarnificazione verbale l’azzeramento del codice doloroso operato dall’avanguardia sulla tradizione poetica tardo-romantica. Nella seconda sezione, Telegrammi, prevalgono elementi di un più tradizionale realismo, pur nell’insita ricerca cromatica e fonica – sempre di tipo palazzeschiano – e nel rapido susseguirsi delle immagini, costruite con un linguaggio da dizionario talora tecnologico, talora cinematografico. Entrambe le sezioni sono precedute da Norme e da un Regolamento, spiritosissimi, di Marinetti. Nel 1927 scrive una commedia in cinque atti, La congiura dei passeri, dedicata a Benito Mussolini – usignolo d’Italia – con una riuscita copertina di Depero e con alcuni divertenti esercizi grafico-onomatopeici. Nello stesso anno è inserito nella lista dei – poeti paroliberi propagandisti futuristi – e dei – protettori della macchina – del libro Depero futurista della Dinamo-Azari. Collabora con Depero alla redazione del – Numero Unico Futurista Campari – del 1931. A Gerbino – amicopoeta – Depero dedica Le liriche radiofoniche del 1934. Successivamente si rivolge con più regolarità alla narrativa, pubblicando romanzi di successo, fra cui, a Milano, nel 1929, Barbara la dattilografa, anche se non dimentica del tutto, ma sempre con vena umoristica, l’esercizio paroliberista, esercitato su un materiale pubblicitario. Del 1933 è, infatti, un suo manifesto futurista, in cui glorifica la Poesia pubblicitaria come vera e pura poesia, arte sorella dell’industria, del commercio, della scienza, della politica, scoperta anche attraverso l’interessante esperienza sul campo vissuta con Depero in questi primi anni trenta, specialmente per la pubblicità del Cordial Campari. Ritornato a Catania mantiene un’intensa corrispondenza con molti futuristi”. 

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