Mario Giacomelli “Questo ricordo lo vorrei raccontare”.
Mario Giacomelli, Fotografia originale dalla serie “Questo ricordo lo vorrei raccontare”. Dimensioni cm 11 x 15. Timbro a tampone sul verso. Firma per autentica di Simone Giacomelli. In ottimo stato – incorniciata.
“In questa serie non mi interessava capire il soggetto ma comunicare, in uno spazio di libertà, non scenografie mentali ma la mia area magica dove sfogo l’autoanalisi che nasce di continuo immergermi in me stesso”. Il lavoro fu iniziato nel 1998 con il titolo I ricordi di un ragazzo nato nel 1925, ed è stato ripreso dopo un’operazione chirurgica. E’ stato proprio lo stato mentale dovuto all’anestesia che, suggerendo immagini che l’artista ha voluto poi fissare, ha consentito di ritornare sul lavoro e completare la serie. Il risultato è una sorta di teatro i cui protagonisti, figure già apparse nelle fotografie di Giacomelli, vivono in uno spazio privo di prospettiva, disposti secondo la geometria del sogno. Le maschere, in particolare la testa maschile in cui si è voluto riconoscere il padre dell’artista scomparso molto precocemente, elemento che simboleggia la continuità della vita, gli animali e la figura dello stesso Giacomelli sono utilizzati come oggetti, icone di una composizione sempre più complessa e personale. I materiali poveri – muri in rovina, teli, oggetti metallici – appaiono qui mescolati a corpi di animali impagliati, pupazzi, sagome e ombre, senza che vi sia un prima e un dopo, un protagonista e uno sfondo. Elemento che è presente nella maggior parte degli scatti è la figura del piccione, solo ad essere apparentemente vivo a richiamare il movimento in questo mondo immobile ed bidimensionale. “Ci sono alla base elementi spirituali a sfondo autobiografico chiusi in immagini dove tutto è dato come essenza, come odore mentale, come simbolo, come proiezione del pensiero. Nel recinto del linguaggio il soggetto prende una vitalità nuova, in nuove circostanze, spezza i vecchi schemi per evocare quella musica che è voglia di vivere ancor, è una preziosa mia confessione critica dell’avventura della vita, una linea di riflessione legata ai segni nati dalla nebbia postoperatoria divenuta poi cristallo forte e preciso, un flusso di immagini tra me e il mondo, miste al mio respiro fragile che sorreggeva il corpo in quel momento, pieghe dell’anima invase dalla luce, per architettare un racconto anche come intuizione futura del silenzio del tempo” (Germano Celant, Mario Giacomelli. Bologna, 2001).
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