Mario Giacomelli, “Spoon River”. Fotografia.

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Mario Giacomelli, “Spoon river”. 1977. Fotografia originale in stampa vintage. Dimensioni cm 27 x 38. Firmata, intitolata e datata dall’autore sul passepartout. Timbro a tampone dell’autore e della serie al verso. In cornice d’epoca con inevitabili tracce di nastro adesivo sul retro.

Caroline Branson, da Spoon River. Serie composta tra il 1971 e il 1973 con fotografie realizzate a Senigallia. “In Spoon river ho fotografato il ricordo; non è un riandare ai fatti, è la dimensione della memoria. Amarsi in mezzo alla natura, il tuo corpo è un tronco d’albero, perdi il senso della carne. L’uomo e la donna nel tempo e nella luce serica della notte, la luce che cade (la poesia sta nei passaggi di luce) e i volti che si fondono con la natura. Il ricordo e la natura. I fiori disegnano il tessuto della donna e nel cielo, le stelle, qualcosa di fonde assieme, la natura ha un valore immenso. Spogliati di giorno, di notte, nudi in mezzo ai campi, la terra la luna. Non puoi mentire alla fotografia. In Spoon river distruggo la realtà  e fotografo il ricordo, deformo per rifare la realtà, quello che io vedo e scatto sono copie della realtà”. Un modo di procedere di Giacomelli è assemblare un’idea attraverso frammenti, quadri in cui sono presenti richiami reciproci, utilizzando la libertà dell’analogia. Giacomelli non solo “legge” il testo di Lee Masters. Fedele alla sua idea dell’interpretazione della poesia, che deve trovare una voce, egli decostruisce il testo per aggiungervi altro materiale, elementi sottaciuti, per meglio definire in modo visionario un mito di rinascita. E’ il mito della rinascita ciclica, richiamato attraverso il prevalere di figure femminili, luoghi boscosi e quasi sotterranei. La poesia di Masters, che racconta la vicenda di due amanti-suicidi, canta la “rapita estasi della carne”, dove non c’è il tempo ne’ lo spazio, e il desiderio di annientamento, di un “oltre” che la protagonista evoca attraverso l’idea del “ciclo delle nascite a venire”. Nelle prime immagini Giacomelli vuole metterci immediatamente di fronte al contrasto fra il presente immobile e squallido percepito dal protagonista della poesia e l’abbandono a un al di là che è naufragio ed estasi. La fusione con la natura che è presente in tutte le immagini della sequenza – quasi tutte doppie esposizioni – la presenza del cielo, del mare e degli uccelli, il carattere diafano dei protagonisti e dei rami che si allungano sui loro visi, tutto rimanda al carattere inesorabile che il ciclo di morte e rinascita imprimono nell’esistenza individuale (Celant, Mario Giacomelli. Bologna, 2001).

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